L’epifania del colore quale mezzo e fine del suo particolare linguaggio artistico. È la cifra essenziale di Giuseppe Bertolino, un artista che alterna un sapiente uso della spatola al tradizionale pennello, con esiti estremamente interessanti. La sua dimensione pittorica è priva di confini; materica, la distinguono impasti particolari, pomice, stucchi sempre votati a canti sinfonici del concerto cromatico. Ha appreso la lezione degli impressionisti e l’ha fatta propria con uno stile originale, prossimo talora all’astrazione. Acquarelli, olï sono il suo terreno privilegiato di confronto con la realtà, che Bertolino ha interiorizzato con sensibilità da artista certo postmoderno. Sicché le sue opere rivelano un comune sentire, che è quello d’una natura magmatica ormai piegata al pensiero fluttuante: natura che qui riflette ed esalta il suo senso originario e fondativi di genesi, di cosmogonia dell’espressione. Vi si confà l’accezione greca del termine, la physis intesa come processo generativo dell¹essere. Ci troviamo di fronte delle rappresentazioni del divenire, caotiche a tratti, che manifestano dignità e carattere propri dell’Essere, come dire che nell’arte è possibile una riconciliazione se non -addirittura- una identificazione fra il divenire e l’essere. Il colore, come s’è già detto, ne è lo strumento e la finalità principe, un colore intenso, acceso che è forse l’anima stessa di Bertolino, alchimista delle cromie, i suoi “colori del Mediterraneo”, così emblematici d’una lunga riflessione, si rivelano portatori d’un messaggio universale. Siciliano mai costretto in anguste visioni localistiche, Bertolino ricerca con slancio creativo forme contemplative mai individuabili in spazi concreti della realtà quotidiana ma situabili, piuttosto, nel mundus imaginalis che è il laboratorio spirituale dell’artista, ove tutto è ricondotto, suo modo, all’unitarietà del sentire. La reductio ad unum dell’arte trova così il suo nobile esito nella trasfigurazione della realtà nell’Assoluto che Bertolino ha pazientemente elaborato con la sua sintesi archetipica, che al mare ha restituito il suo ruolo originario che è cosmogonico e/o, piuttosto, precosmogonico, simbolo precipuo di latenza virtuale, di universi germinali, praterie sterminate di territori radicati nell’ou-topia della psiche. E sono questi, appunto, gli spazi infiniti del mundus imaginalis dell’artista, presentimento creativo di
un mondo più consono di quello vissuto allo stato di veglia, il luogo dei luoghi ove la contemplazione può risolversi in forma. E questa è sicuramente appercezione d’un modo di intuizione alle soglie del Trascendente, dimensione rassicurante e fondativa dell’anina assetata di ³intelligibile².
Bertolino la trova nella luce fragorosa del colore rivissuto, plotinianamente, come áisthesis ànghelos, percezione annunziante che allude e rinvia ad Altro da Sé. E la sua pittura realizza qui la pacificazione fra i vari piani del Reale, il superamento del vissuto quotidiano nel quale non è mai bene identificarsi più di tanto. L’arte come terapia olistica, si potrebbe dire. E perché no, dipingere non è forse nobilissima maniera di sfuggire alle strettoie di un’esistenza altrimenti insignificante? Talché i colori di Bertolino si manifestano anch’essi quale possibile strumento di riscatto conoscitivo dal mobile flusso delle impermanenze nelle quali ci ha relegato una distratta e superficiale società consumistica, che considera l’uomo al pari d’una bottiglietta di Coca Cola. A tale nefasto stato di cose l’arte pùò ben porre argine e rimedio con la sua capacità di visione interiore, di intuizione dello Spirito. Il blu psichedelico ed il rosso carmineo del pittore di Castelvetrano sono i due estremi d’un Logos coerente che si fa immagine assoluta, parola indicibile.